Quattro anni fa, quando ho cominciato a costruire la mia prima startup, andavo in giro per decine di eventi in Italia per conoscere imprenditori, giornalisti, consulenti e investitori. Tutta gente con molta più esperienza di me, considerando che io fino a quel momento avevo fatto startup solo di notte nella mia camera da letto e di nascosto durante le lezioni all’università.
Incontrai persone fantastiche, simpatiche e tutte così estremamente disponibili ad aiutarmi, a darmi suggerimenti e indicazioni su come muovermi e cosa migliorare, a proporsi come miei co-fondatori o consulenti. Mi chiesi però perché fossero lì, ogni giorno ad eventi diversi ma sempre uguali, aperitivi e networking, sedia in prima fila e puntuali ad ogni buffet, anziché al lavoro per mettere in pratica quegli stessi consigli e costruire un’impresa.
Ero un 26enne ingenuo e ambizioso, più timido e più inconcludente di adesso, e finii per credere ad alcuni di quelli che promettevano investimenti, contratti e interviste. Per come sono andate le cose, niente di grave: qualche scocciatura, attribuzioni di merito sui miei risultati, tanto tempo perso.
Oggi invece filtro con molta attenzione le attività e le persone che non valgono il tempo che gli dedico, le mie startup sono “startup” da un punto di vista anagrafico mentre sono “aziende” per risultati, posizionamento e clienti. E soprattutto partecipo a molti meno eventi. Quando ci vado, però, è bello vedere come tante cose cambiano e tante altre restano sempre uguali. Molti amici non si vedono più, alcuni ce l’hanno fatta e altri hanno avuto la lucidità di mollare e seguire altre strade, mentre tutti gli altri sono sempre lì.
Lo stesso pitch di quattro anni fa per il rivoluzionario social network “in fase di lancio”, gli stessi consigli ostentati con sicurezza, le pacche sulle spalle reciproche, le stesse promesse di investimento “tra un mese quando si apre il nuovo fondo”, i tag nelle foto di gruppo su Facebook, la presunzione di esperienza con le nuove leve e la testa bassa con chi fa l’ospite e non più il pubblico, i “ti seguo sempre, poi ti devo parlare di un progetto”. Alcuni sono diventati addirittura mentor e adesso insegnano, altri fanno i “coordinatori dell’ecosistema” o i giudici alle startup competition, e quando acchiappano l’ingenuo 26enne di turno gli strappano pure una consulenza.
D’altronde un uomo diventa un critico quando non può essere un artista. “I nuovi radical chic milanesi e napoletani” li chiama il mio advisor. Poco lavoro, molte tartine.