Quando le risposte alla crisi economica mondiale tardavano ad arrivare e il trend della raccolta fondi online cominciava ad emergere, la stampa e i media di tutto il mondo hanno adottato il rassicurante slogan “Il crowdfunding ci salverà!” come possibile soluzione alla recessione, raccontando di schiere di persone entusiaste all’idea di donare sul web a beneficio di qualsiasi progetto meritevole per aiutare artisti, startupper e innovatori a realizzare un mondo migliore.
In Italia, decine di piattaforme di crowdfunding sono nate in un periodo brevissimo – da 7 a 54 nel giro di un anno e mezzo – con la speranza di potersi tuffare in un mercato in crescita esponenziale, costruito sull’ottimismo di chi raccontava un fenomeno partendo dai numeri delle più grandi campagne internazionali di Kickstarter e tacendo sulle migliaia e migliaia di iniziative di raccolta fondi fallite sugli stessi canali. A distanza di un anno, gran parte di queste piattaforme sono di fatto chiuse e gli operatori del settore – consulenti, ricercatori e titolari di piattaforme ormai spente – si sforzano di contenere le pretese dei molti utenti che, ispirati dalle raccolte milionarie per droni e fumetti d’oltreoceano, pensano di poter usare il crowdfunding come un bancomat che eroga automaticamente finanziamenti per qualsiasi tipo di progetto.
A questo si aggiunge il difetto tipico di molti creativi e startupper di essere perdutamente innamorati della propria idea, al punto di escludere a priori la possibilità che possa non piacere o che qualcuno possa rifiutarsi di finanziarla. Si ignora e forse si vuole ignorare che il crowdfunding è uno strumento da scoprire giorno per giorno, grazie a un’analisi che si nutre dei dati e dalle esperienze ricavate dai successi (pochi) e dagli errori (moltissimi) compiuti da chi ha il coraggio – alcuni in senso positivo, altri in senso negativo – di proporre un’idea al pubblico della Rete. Organizzazioni e istituzioni internazionali come l’Unione Europea sfornano quotidianamente documenti e report con l’obiettivo di esaminare le potenzialità e l’impatto del crowdfunding sull’economia reale, mentre gli operatori continuano a chiedersi senza soluzione di continuità come potersene servire. La domanda che aleggia, ma che nessuno ha il coraggio di esprimere a voce alta, è semplice e terrificante: ma a cosa serve il crowdfunding?
In Italia alcuni casi suggeriscono una risposta positiva, come ad esempio la campagna lanciata su DeRev per la ricostruzione di Città della Scienza a Napoli, lo Science Centre distrutto da un incendio doloso, che partì con una richiesta simbolica di 100mila euro e ad oggi ha raccolto oltre un milione e 400mila euro, tra piccole e grandi donazioni. Altro caso rilevante è quello del Festival Internazionale del Giornalismo di Perugia, che con una campagna in white label ha ottenuto più dei 100mila euro necessari a realizzare l’evento – riconosciuto di rilevanza mondiale da tutti i maggiori organi di stampa stranieri e italiani – nonostante il venir meno del contributo delle amministrazioni pubbliche. Due belle esperienze rappresentative delle vere possibilità del crowdfunding: aggregare e mobilitare comunità legate da interessi e sensibilità per una causa comune.
Condizione essenziale per lanciare una campagna di crowdfunding è quella di avere un obiettivo definito e immediatamente percepibile dal pubblico, in grado di provocare nell’utente una reazione che si converta in partecipazione attiva e quindi donazione. Il rispetto della trasparenza – un mantra per chiunque non voglia avere vita breve sul web – è altrettanto importante, ma il fattore da tenere ben presente quando si parla del fenomeno è un altro, ed è relativo al contesto. Il “luogo” del crowdfunding è la Rete, di cui tutti amano sottolineare la natura di serbatoio potenzialmente infinito di attenzione, contributi e risorse.
In effetti, il web è il più grande mercato trasversale e intersettoriale del mondo, sul quale la creazione di valore è legata a molti fattori diversi e interconnessi: è un mercato altamente competitivo, nel quale spazio e tempo sono risorse preziose da guadagnare, e sulla base del quale misurare il valore della propria proposta. Tuttavia, se non si è pronti a lavorare con impegno, dedizione e qualità non si ottengono risultati, esattamente come offline. E’ questo il criterio che distingue il successo e il corrispettivo insuccesso di campagne con obiettivi simili, come eventi culturali e innovazioni tecnologiche. Servono operatori e autori qualificati e realmente impegnati perché si possa parlare di “industria” del crowdfunding, l’unica che (a queste condizioni) potrebbe davvero dar vita alla prossima rivoluzione che cambi il mondo.