Premessa: io sono un imbecille. A maggior ragione se a definire l’imbecillità è uno studioso del calibro di Umberto Eco, laurea honoris causa per la comunicazione, che sostiene: «I social media danno diritto di parola a legioni di imbecilli che prima parlavano solo al bar dopo un bicchiere di vino, senza danneggiare la collettività. Venivano subito messi a tacere, mentre ora hanno lo stesso diritto di parola di un Premio Nobel».
Anche da imbecille però, un ragionamento del genere mi suona un po’ approssimativo.
La teoria secondo cui i social media darebbero “diritto di parola a chiunque” è abbastanza infelice, oltre che sbagliata: tutti – anche gli imbecilli – hanno fortunatamente diritto di parola a prescindere. Ed è proprio per preservare questa libertà che non segnalerei mai a Twitter il profilo di Maurizio Gasparri.
I social media non sono nient’altro che uno strumento attraverso cui gli imbecilli possono sentirsi liberi (e spesso in dovere) di confessare con orgoglio i propri limiti mentali. Per fortuna sono contagiosi solo nei confronti degli altri imbecilli, per cui le persone convinte di non esserlo non hanno nulla da temere. Il vero e unico problema, a mio avviso, è che – con o senza social media – questi imbecilli vanno comunque a votare, pagano il canone Rai e fanno figli: il fatto che poi lo scrivano anche su Facebook non peggiora le cose e nemmeno le migliora, se non per il fatto che almeno danno al resto del mondo la consapevolezza della loro imbecillità.
Io per esempio non ho grande stima di Matteo Salvini, ma non per questo mi offendo se qualcuno ne parla bene sui social network, anzi vorrei che potesse dirlo tutti i giorni in tv, in prima serata e a reti unificate, in modo da mostrare apertamente a tutto il mondo quanto sia un cretino.
Tutto questo per dire che l’imbecillità è inevitabile e non può essere tenuta a freno. Ma almeno sul web i cretini si riconoscono a vista, e fortunatamente per noi non ci sono specchi.