I post di Matteo Salvini delle ultime settimane – selfie di cattivo gusto e battute su migranti e razzismo – non sono un errore, una distrazione o una gaffe improvvisata, ma una precisa strategia di comunicazione politica composta da una premessa e tre obiettivi specifici.
La premessa è che il fine giustifica i mezzi. Sempre.
Il primo obiettivo è governare l’opinione pubblica, dettando le tendenze e scegliendo gli argomenti su cui concentrare l’attenzione dei media, degli interlocutori politici e dunque dei cittadini. In questo modo riesce a controllare il dibattito pubblico, provocando e anticipando le risposte, le analisi e le dichiarazioni che riempiranno le agenzie di stampa. Come in una partita a scacchi. È la differenza tra trendsetter e trendfollower, perché l’opinione pubblica o la piloti o la subisci. Non fa niente se per farlo deve strumentalizzare gli episodi di cronaca, alimentare l’odio razziale e la tensione sociale, creare qualche fake news all’occorrenza.
Il secondo obiettivo è distrarre l’opposizione per tenerla a bada. Non che ce ne fosse bisogno: centrodestra non pervenuto e PD morto e decomposto da mesi, in grado di tornare dall’oltretomba un paio di volte a settimana solo per darsi una martellata sui coglioni. Così Salvini si assicura che l’opposizione resti innocua e frammentata, costretta a rincorrerlo ogni giorno sui temi politici e a masturbarsi su questioni metafisiche e contraddizioni interne nel tempo libero.
Il terzo obiettivo è sminuire la gravità delle proprie azioni politiche. Quando si progetta una strategia di crisis management per affrontare una crisi politica o mediatica, il primo step è sempre quello di smontare il fronte d’attacco. E questo si ottiene frammentando l’accusa principale nel minor tempo possibile, prima che cresca come una valanga e diventi incontrollabile, per poi concentrare l’ondata di indignazione su tanti piccoli fronti di attacco più deboli che riguardano accuse secondarie. Il secondo step è la satira, ovvero l’arte di buttarla in caciara: quando iniziano a circolare battute, meme, parodie e remix, sai già che la crisi è risolta e la bufera sta per sgonfiarsi.
Matteo Salvini fa una cosa in più: provoca le crisi intenzionalmente, per poi sdrammatizzare. Poco importa se per riuscirci deve rinunciare a quella dignità e a quella decenza che comunque non ha, l’importante è sempre il risultato: scatenare l’indignazione generale attraverso squallide provocazioni e battute sui migranti, sfottendo la gente che soffre e muore, così da spostare l’attenzione dalla gravità della sua politica fascista alla gravità delle sue battute fasciste. Avete presente quella famosa storia del guardare il dito anzichè la Luna?
Di conseguenza, se un Ministro dell’Interno esalta il fascismo ridicolizzando lo Stato e sputando sulla storia del nostro Paese, non è poi così grave. Essere razzisti diventa accettabile e socialmente tollerato: se Matteo Salvini dimostra che l’apologia di fascismo non esiste e Beppe Grillo riduce la discriminazione ad uno sfottò da tormentone estivo, buona parte dei loro sostenitori si sentirà giustificata a fare lo stesso. E passare dai selfie alle aggressioni contro le persone di colore è un attimo, come stiamo notando. Al contrario, quelli che si indignano e si vergognano fanno la figura dei bacchettoni, pesanti e seriosi, che passano le giornate a lamentarsi ma poi non vincono mai un dibattito, una battaglia politica o una campagna elettorale.
Tanto, come in quel film in cui la memoria delle persone si azzera ogni 24 ore, domani ci sarà un nuovo trending topic, un nuovo dibattito, e la gente avrà dimenticato tutto. Resterà solo un aneddoto da rievocare alle feste, come ora accade con i fatti di 10 anni fa su Berlusconi. Questo per dire che oggi Matteo Salvini è l’unico ad avere una vera strategia, con cui tiene per le palle i suoi alleati e allo sbaraglio tutti gli altri. Ma se domani in questo Paese qualcuno con un po’ di buonsenso si sveglia e lui fa la fine che ogni fascista merita, direi che va bene lo stesso.